Come vivere in modo sostenibile e fare la mia parte

La finestra si affaccia sul cortile. C’è un portico e, poco più in là, l’aia. Le galline scorrazzano felici, si adagiano sulla terra e depongono uova. L’erba medica profuma di buono, le mucche muggiscono: da poche ore il veterinario se n’è andato e la piccola Milla è coricata accanto alla sua mamma.
La nonna mi aveva detto di non guardare, ma sono sgusciata fuori da casa e l’ho spiato: non avevo mai visto nascere un vitellino e, a ben vedere, nemmeno un neonato. All’epoca avevo cinque, sei anni al massimo: adoravo passare le vacanze estive a casa dei miei nonni materni. Era immersa nella campagna, con le sue persiane di un verde antico, i muri conquistati dall’edera e dalle serenelle, il pavimento di gelidi mattoni rossi tirati a lucido.
Stare lì, fingere di parlare con le fate, rincorrere le farfalle, sminuzzare foglie e fiori per creare arcane pozioni era per me fonte di gioia infinita.

Chiudo gli occhi.
Li riapro.
La finestra si affaccia su un cortile, davanti a me una fila di condomini tutti uguali, cellette di alveari in cui compiamo i nostri rituali pagani da frenetiche, laboriose api umane.

Viviamo in una società in cui produttività fa rima con tempo e mai con qualità.

Una società in cui se non stai al passo, sei fuori dai giochi.
La mattina apri gli occhi, fai colazione ingollando caffè latte e fette biscottate – se sei tra i fortunati che si concedono ancora un momento di ozio prima della diaspora nel traffico – e ti tuffi verso sei, otto, dieci ore di lavoro. Durante la mattinata c’è la pausa caffè con i colleghi, il tran tran monotono che ti conduce a sera. Altra immersione nel traffico, la lista delle cose da fare al rientro che si sommano agli imprevisti, la città che scivola via dietro il finestrino di un’auto o un bus, la voglia di guardare oltre i casermoni in cemento, oltre la linea ferroviaria, ancora più in là di quella zona di confine che separa chi è dentro da chi è fuori, in campagna. O al mare. O a una malga in montagna.

Per anni ho sospeso il momento della scelta: la vita frenetica ti impone ritmi mozzafiato, senza possibilità di fermarti a riflettere. Per anni ho detestato l’ozio noioso del mare e la montagna, preferendo grandi metropoli di cui cibare il mio animo artistico. Sono tornata in montagna dopo anni passati tra il cemento di città diverse, ma sempre simili nel loro essere grandi contenitori di esistenze.

Ed eccola lì, tra le montagne della Valmalenco, la magia sconvolgente della Natura. Chiudi gli occhi e ti sembra che le cime possano cantare, che le pareti nude di quei picchi rocciosi vibrino.
Ci sono poi i colori: decine di sfumature di verde, di fiori conosciuti solo sulle enciclopedie, farfalle.
Una miriade di farfalle.
Da quanto tempo non ne vedo, in città?

Non so esattamente cosa sia successo, è che ho provato a capire quanto inquinavo nel mio quotidiano.
Così ho iniziato a fare la raccolta differenziata, a prestare attenzione a ciò che metto in tavola.
Mi faccio sempre la stessa domanda: da dove arriva? Chi lo produce?

Quando posso acquisto frutta e verdura in un’azienda agricola locale o nei numerosi mercatini che ruotano per le diverse zone cittadine.
Acquisto prodotti a basso impatto ambientale per l’igiene della casa e utilizzo solo trucchi cruelty free. Solo dopo è arrivata la moda: che me ne faccio di decine di capi di abbigliamento che utilizzo una sola stagione? Che senso ha questa sovrapproduzione, questi stracci che sono obbligata a buttare dopo pochi mesi?
Ho iniziato a conoscere il mercato vintage e quello artigianale. Tra le dita i tessuti erano tutti più morbidi, leggeri, fluidi. Capi immortali, passati come testimoni di mano in mano senza perdere la propria qualità e bellezza. Capi cuciti da abili sarte, confezionati da designer attenti all’ambiente, allo stile, alla personalizzazione della propria offerta.

Più cercavo informazioni, più scoprivo che come me c’erano decine di persone sparse per l’Italia, per il mondo. Qualcuno ha iniziato a dire basta!, che la vita frenetica ci sta rovinando tutti, che non crediamo più nei sogni e ci limitiamo a sopravvivere.

Molti hanno deciso di scendere dalla ruota panoramica e hanno scelto di vivere fuori dalla città. Ma possiamo riprenderci il ritmo di una vita più sostenibile anche vivendo in centro storico.

Qualche idea?

  • Installare un depuratore d’acqua in casa ed eliminare l’utilizzo di bottiglie di plastica. Oppure prelevandola dalle fontane pubbliche adibite a questo scopo;
  • consumare l’acqua che ci portiamo in ufficio in termos che la mantengono fresca;
  • acquistare latte di produzione agricola dagli appositi distributori;
  • fare la raccolta differenziata, sempre e comunque;
  • cercare di consumare prodotti a chilometro zero (conviene anche a livello economico!);
  • imparare a leggere le etichette degli abiti che indossiamo e dei prodotti che acquistiamo al supermercato;
  • riciclare gli abiti che non indossiamo più o donarli in beneficenza;
  • se ne avete la possibilità, creare un efficientamento energetico della vostra abitazione e sostituite gli elettrodomestici con altri con una migliore classe energetica;
  • lavare i piatti con materie prime naturali: chiedete consiglio alle vostre nonne;
  • evitare l’utilizzo di fazzolettini di carta e, in generale, stoviglie usa e getta;
  • non buttare per strada, nei parchi o in spiaggia rifiuti (sembra banale, ma non lo è).

Sostenibilità è vivere a un ritmo in cui c’è spazio per pensare, per emozionarsi, per l’ozio. È un allenamento continuo, dove la partita la vince chi ha deciso di investire per preservare il pianeta in cui viviamo, che con gentilezza ci ospita e che con altrettanta decisione ci respinge.
 

Sostenibilità è scegliere, informarsi, essere consumatori consapevoli e rispettosi dell’ambiente in cui viviamo.

Lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti; a tutte le generazioni che verranno dopo la nostra.

No Comments

Leave a Comment