Eco-fashion: meglio abiti usati o abiti riciclati?

Eco-fashion: meglio abiti usati o abiti riciclati?

Qualche settimana fa ho scoperto Solo Moda Sostenibile, la newsletter sulla sostenibilità nel settore fashion della giornalista Silvia Gambi. Alcuni degli ultimi numeri li ho trovati particolarmente interessanti e vorrei condividere anche qui sul blog alcuni dei dati e delle riflessioni scaturite in seguito alla lettura di questa, per me, nuova (e ben strutturata) fonte di informazione. Quindi i dati che trovi all’interno di questo post, arrivano dal lavoro di Silvia Gambi.  

A livello europeo è in corso una revisione della normativa sui rifiuti, che riguarderà anche i tessili. L’uscita della norma rinnovata è prevista per il secondo semestre 2023. 
Questa modifica si rende necessaria, perché sia la Commissione Europea che la Corte dei Conti europea hanno riscontrato delle lacune e dei “nuovi” problemi nel ciclo di gestione e produzione dei rifiuti. 

Cosa significa questo? Principalmente due cose: ci sono più studi riguardanti i nostri comportamenti in questo senso e più dati che possiamo utilizzare per migliorare, in quanto società, i nostri comportamenti. 

Come usiamo i rifiuti tessili in Europa?

Uno studio effettuato da EuRIC, l’associazione che rappresenta l’industria europea del riutilizzo e del riciclaggio dei tessili, ha messo insieme una serie di dati sui comportamenti europei, paese per paese, per comprendere quali siano le best practice sugli LCA (cicli di vita) dei tessili. L’obiettivo dello studio era individuare i comportamenti più virtuosi per permetterne una maggiore diffusione. 

Dallo studio è emerso che il 62% degli indumenti e dei tessuti usati finisce nei rifiuti domestici, rischiando di far incenerire o finire in discarica tessuti di valore, che potrebbero invece essere riutilizzati altrove. 

In Italia crediamo di essere bravi nel riciclo e nel riuso dei tessuti, ma i dati europei ci dicono altro (v. tabelle di seguito).
La maggior parte degli abiti e dei tessuti che raccogliamo lo destiniamo al riuso, ma non usiamo tecnologie per ricavare energia dai rifiuti tessili. 

È meglio riciclare o riutilizzare una t-shirt? 

Lo studio LCA (ciclo di vita) di EuRIC analizza 3 diversi tipi di t-shirt, ognuna con una composizione tessile differente: la prima è 100% cotone, la seconda è in polycotton, la terza è 100% poliestere. 

All’interno dello studio, ogni t-shirt è considerata “usata” dopo circa 52 volte che è stata indossata (si tratta di un valore medio di utilizzo per un capo del genere). 

La valutazione del ciclo di vita dello studio si propone di confrontare il riutilizzo degli indumenti a livello globale rispetto al riciclaggio di indumenti in Europa.

Il riuso tessile e il riciclaggio dei tessuti sono entrambe valide alternative, ma devono essere valutate in base al loro impatto, sia ambientale che sociale. 

Riuso e riciclo sono entrambi processi che hanno un impatto ambientale: necessitano entrambi di trasporto e consumano energia elettrica. Ma, in ogni caso, si tratta di pratiche preferibili alla produzione di nuovi capi o nuove fibre, che avrebbero un impatto ambientale maggiore. 

Riuso dei tessili: fattori da valutare

Tra il riuso e il riciclo il primo è senz’altro più virtuoso, perché permette un notevole risparmio di CO2 e di acqua rispetto alla produzione di nuovi indumenti. 

Sebbene il riuso dei tessuti sia più virtuoso, però, la maggior parte dei tessili che destiniamo a questa pratica viene esportata, principalmente in Africa sub-sahariana e in Asia, dove molto spesso finisce comunque in discarica. 

Perché questo accade? 

La stabilizzazione della domanda ha avuto un impatto diretto sui prezzi dei tessili usati, diminuendolo, e trasformando, quindi, il business dell’abbigliamento di seconda mano in meno redditizio di quanto non fosse un decennio fa. 

Il calo dei prezzi, inoltre, è dovuto anche a un calo nella qualità dei tessuti (causato dal fast fashion) e a un aumento della vendita indipendente dei singoli consumatori tramite le piattaforme di second hand

In sostanza, stanno cambiando le abitudini delle persone riguardo al riuso dei tessili, ma abbiamo ancora molta strada da fare per rendere i consumi in tema di abbigliamento più sostenibili per il Pianeta. 

Riciclaggio dei tessili: fattori da valutare

Il riciclaggio tessile ha impatti differenti a seconda dei processi con cui viene messo in pratica. Esistono, infatti, sia pratiche di riciclaggio meccanico, come la triturazione, che di riciclaggio chimico, come la dissoluzione con solventi appositi: in questo caso è il riciclaggio meccanico a vincere il premio di minore impatto ambientale

Il riciclo chimico dei rifiuti tessili (e plastici) ha a che fare con il riciclaggio di rifiuti pericolosi: spesso questi materiali contengono inquinanti organici persistenti e metalli pesanti, che prima di essere riciclati dovrebbero essere decontaminati

I riciclatori, però, non dispongono di informazioni sulla composizione chimica precisa dei rifiuti che trattano e, di conseguenza, svolgere una decontaminazione che sia corretta al 100% è praticamente impossibile

Questo implica una presenza di sostanze pericolose all’interno dei materiali riciclati, nonostante gli avvenuti processi di decontaminazione. 

Elemento su cui la Commissione Europea intende agire con le nuove norme di cui parlavamo all’inizio di questo post. 

Quindi, com’è meglio procedere?

I vantaggi del riuso dei tessuti e del riciclaggio degli abiti derivano dalla non-produzione di capi nuovi o di nuove fibre. Ma se il riuso tessile non è significativo per sostituire capi nuovi e se il second hand non risponde alla necessità di evitare nuova produzione allora meglio riciclare i capi, meccanicamente, in Europa invece di esportarli. 

Secondo la Commissione Europea è necessario prima tentare il riuso, poi il riciclo. Se queste due strade non sono percorribili, allora si deve tentare di trasformare i rifiuti tessili in energia. La discarica dev’essere considerata solo come ultima spiaggia.

Come possiamo noi consumatori migliorare il nostro impatto? 

La moda circolare è un mercato in crescita che, se ben gestito anche dai singoli, può avere un ottimo impatto sia sull’ambiente che sulle scelte che possiamo intraprendere in quanto società. 

Per noi consumatori è sempre più importante fare delle scelte ponderate nei nostri acquisti: il mio consiglio è prima di scegliere su cosa agire, fare una valutazione di cosa è più o meno importante per noi. 

Se amiamo avere un guardaroba più consistente, possiamo affidarci al circuito del second hand, dove troveremo senz’altro abbigliamento di buona qualità che merita di essere utilizzato fino al termine della sua vita. 

Se, invece, siamo più minimalisti possiamo investire in pochi elementi e di maggiore qualità.  Questo ci permette di fare acquisti da artigiani e piccole imprese la cui filiera sia tracciabile, che selezionano le materie prime di qualità e usano tessuti naturali e non trattati chimicamente.  

Qualsiasi siano le nostre preferenze, possiamo scegliere di allungare la vita, il più possibile, di ciò che possediamo, con alcune pratiche molto semplici : 

  • indossare gli stessi capi più volte, 
  • essere più accurati e selettivi nei nuovi acquisti (siamo davvero sicuri di non avere nulla da mettere?) 
  • non vergognarci di chiedere ad amiche e sorelle se hanno qualcosa da prestarci per le nostre occasioni speciali, 
  • verificare l’interesse di amici e parenti prima di eliminare definitivamente un capo dal nostro guardaroba
  • rammendare e riparare ciò che si può,
  • riproporre e riutilizzare con nuovi scopi, anche con il cucito creativo, ciò che può avere una seconda vita. 

Per quel che concerne noi produttori, invece, dobbiamo essere sempre più attenti e puntigliosi sui fornitori che scegliamo, le materie prime che utilizziamo, le strade imprenditoriali che decidiamo di percorrere. 

Il nostro obiettivo, sia in quanto individui che in quanto società, dovrebbe essere quello di generare il minor impatto possibile rispetto ai compromessi cui siamo disposti a scendere, alle possibilità economiche e all’avanzamento tecnologico a nostra disposizione. 

Una moda più sostenibile è certamente possibile, ma la sostenibilità dipende dal settore intero, consumatori e piccole imprese come le mie compresi. 

Rimanere informati, da questo punto di vista è vitale per fare scelte migliori, rispetto alle condizioni di partenza e ai dati a disposizione. 

Spero di esserti stata d’aiuto con questo post, sia nel riflettere su nuovi elementi, sia per farti conoscere il lavoro di Silvia Gambi, che trovo importantissimo. 

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